martedì 17 novembre 2015

La metropolitana è il vero simbolo della decadenza e della cattiva amministrazione di Roma Capitale

Il servizio pubblico è per Roma un valore aggiunto oppure un limite?

La Metropolitana è  il vero simbolo della decadenza e della cattiva amministrazione di Roma Capitale. Nella rete ferroviaria sotterranea più cara d’Europa (l’ultimo tratto è costato oltre 200 milioni a chilometro secondo le stime correnti) sprechi, incuria e privilegi costituiscono un blocco unico, in cui è arduo trovare chi sia del tutto innocente.
La vera penuria è stata la discussione, girata in tutta Europa ed in Mondovisione, riguardante la ribellione dei macchinisti successa nei mesi di Luglio ed Agosto 2015.
Quando si chiese loro di timbrare il cartellino, come avviene in tutte le aziende pubbliche e private del mondo, è partito lo "sciopero bianco", in cui i lavoratori osservano alla lettera le procedure per causare rallentamenti. I sindacati sono contrari a questa forma di protesta, ma più ancora non piace loro l’idea che si sappia quanti lavoratori sfuggono al loro controllo. Ragion per cui parlano solo di astensione dagli straordinari e di rifiuto di utilizzare mezzi non del tutto a norma.
Il risultato però è lo stesso: passano meno treni e sono molto più affollati, cosa che con il caldo di luglio rende la Metro un posto ancor più infernale del solito. I passeggeri sono inferociti, inveiscono contro i macchinisti e contro il Comune che, incalzato dagli eventi, si decide a firmare il contratto di servizio che salva l’Atac dal fallimento e consente l’inizio della trattativa fra azienda e sindacati.

E per i badge da strisciare? In base all'accordo appena siglato fra azienda e sindacati dovrebbero diventare prassi normale anche per i macchinisti dell’Atac, ma né l’azienda né i sindacati lo dicono apertamente. Altrimenti bisognerebbe spiegare perché i diretti interessati hanno resistito così tanto alla registrazione degli orari di entrata e di uscita dal lavoro.
Qualche dato può aiutare a farsi un’idea. Il contratto nazionale dei lavoratori del trasporto locale prevede 39 ore settimanali, ma quelle di guida effettiva dipendono dai contratti integrativi e dall’organizzazione aziendale. A Milano sono più di 1.100, a Napoli 950, a Roma appena 736, straordinario compreso. Significa che nella Capitale gli autisti della Metro guidano per circa 15 ore alla settimana: tre al giorno, contro le cinque dei colleghi milanesi. E poiché in base ai vecchi accordi integrativi il tetto alle ore di guida effettive a Roma è estremamente basso, ne risulta la lievitazione degli straordinari, indispensabili a coprire il 40 per cento del servizio.
Non solo. La busta paga è composta anche da indennità legate in origine a prestazioni specifiche e ora distribuite a pioggia. La strisciata obbligatoria porterà con sé anche un sistema contrattuale in cui (diversamente da ora) le indennità saranno pagate solo nei giorni di presenza effettiva al lavoro. Con il rischio, specie per i dipendenti infedeli, di una diminuzione dello stipendio. Non per niente, a quanto sostiene l’Atac, quando il nuovo sistema è stato introdotto per gli ausiliari del traffico, a fine 2014, si è registrato un calo dell’assenteismo del 50 per cento. Dai macchinisti ci si aspettera ora, e questo è uno dei punti caldi del braccio di ferro, un innalzamento delle ore di guida a 950. Molte più delle 736 attuali, ma sempre meno di quelle di Milano.
Il verdetto delle cifre, del resto, è impietoso non solo per la Metro ma per tutta l’Atac, che nel 2013 ha perso ben 219 milioni di euro, più dei due terzi delle perdite di tutte le aziende di trasporto locale d’Italia messe insieme. Nel 2014 i suoi controllori hanno elevato 81.599 multe, meno della metà delle 167.053 dell’Atm.
A fare la differenza è il minor numero di controlli della Capitale. Il contratto nazionale prevede la possibilità di assegnare agli autisti anche la mansione di bigliettai, ma l’argomento non è mai diventato oggetto di discussione.

L’ATAC ha chiuso il 2014 con una perdita di 141 milioni di euro, ovvero 386mila euro al giorno, oppure 19mila euro ogni ora. Un risultato disastroso che non basta a descrivere la situazione: calano le entrare, i chilometri percorsi e il Campidoglio dovrà mettere presto mani al portafoglio (quello dei cittadini di Roma) per permettere all’azienda di continuare ad erogare i servizi. Il report di gestione del primo quadrimestre del 2015 parla di una perdita di 58 milioni di euro; per progressione matematica il 2015 si potrebbe chiudere con un passivo di almeno 150 milioni di euro, importo che i disordini di luglio spingeranno ancora di più nelle cifre rosse.


Quindi , andando alla base del problema, questo è un problema prettamente di mentalità che coinvolge in primo luogo i vertici del Comune e di Atac che non vogliono mettere in atto questa rivoluzione tanto millantata in termini di lotta all’evasione, lotta agli sprechi, licenziamenti dei parenti messi lì nel corso delle ultime 2 giunte che si sono susseguite ed hanno ridotto i trasporti in questo Stato, ed  in secondo luogo  i macchinisti abituati a lavorare un numero esiguo di ore al giorno e a non voler “impegnarsi” come i colleghi di altre città.
La vera Sfida per Roma sta nel trovare , in un progetto a brevissimo termine, il bandolo della matassa e a procurare una soluzione che parta dalle fondamenta coinvolgendo dapprima i vertici con una rivoluzione alle cariche alte inserendo soggetti disinteressati soprattutto politicamente che possano stravolgere accordi ormai decennali adeguandosi alle normative Europee per quanto riguarda contratti Municipali e con i macchinisti.
In seconda posizione norme più rigide nei confronti di chi boicotta il servizio o non vuole attenersi alle regole perché con un numero maggiore di macchinisti rispetto alle altre città Italiani, pareggiando le ore di lavoro i servizi andrebbero ottimizzati sfiorando l’eccellenza e con 3 linee (4 considerando la neonata Metro C) anche se non si è ai livelli di altre Metropoli Europee che ancora oggi non le vediamo proprio però si può creare un servizio discreto che merita una Città all’interno del G7.

Perché l’Atac non si preoccupa dell’Evasione? In base ad accordi specifici presi col Comune di Roma in tempi non sospetti, le prestazioni dell’Atac devono essere elargite in base ai km percorsi durante l’anno e non, come succede nel resto del Mondo, in base ai passeggeri portati.
Ergo: a me Atac non interessa nulla se porto 1 o 10 passeggeri sul mio mezzo tanto l’importante è che con 1 o 10 mezzi percorro quel tot. di chilometri prestabiliti.
Un accordo osceno perché non va a toccare minimamente ritardi, inefficienze, produttività e quant’altro ma soltanto va a dire che “te mi fai il minimo sindacale ed io ti pago”.
Se invece lo scenario cambiasse radicalmente e Atac avesse i suoi introiti in base al numero di passeggeri trasportati, l’Azienda avrebbe tutto l’interesse ad effettuare un controllo radicale sui mezzi sparsi sul territorio perché ricevendo compensi in base alle persone che usufruiscono del Servizio avrebbe tutto l’interesse a monitorare i suoi mezzi.
In questo modo sarebbe un rischio da prendersi e si sa , che quando c’è da prendersi rischi qui a Roma si fanno sempre orecchie da mercante.
Il rischio però potrebbe generare introiti maggiori se si pensa che l’evasione arriva a sfiorare il 40% su Metro ma soprattutto sui mezzi pubblici, oltre a poter alzare la qualità del servizio in quanto gli autobus si svuoterebbero di un certo tipo di “clientela” che usufruisce e pretende di usufruire giornalmente dei mezzi senza sborsare un centesimo.
L’efficienza dei mezzi migliorerebbe su un periodo medio-breve perché cambiando le norme le entrate aumenterebbero radicalmente già nel breve periodo.


L’equity crowdfunding può essere una soluzione? Può esserlo, anche se da solo non basta. Mettere in condizione i cittadini di acquistare azioni delle municipalizzate è un ottimo sistema per stravolgere le logiche clientelari e nepotistiche, sicuramente serve ad aumentare il livello di professionalità di autisti e macchinisti, in parte poco inclini ad avere un rapporto con il pubblico con il quale si interfacciano facendo uso di menefreghismo e coloratissime forme di linguaggio.
Pur tuttavia l’acquisto di quote azionarie da parte dei cittadini, che ha il grande vantaggio di coinvolgere ognuno nella buona gestione d’impresa (anche in virtù dell’acquisizione del diritto di voto), non è ancora nella corde delle aziende partecipate dalla cosa pubblica, che mal digeriscono l’apertura verso i capitali privati.
                                                               

                                                                Ing. Christian Selvaggi